Il formaggio così come conosciuto ai tempi dei Greci o dei Romani sarebbe rimasto limitato ad alcuni tipi di ricotta e pecorino, forse di feta o caprino, se non fosse stato per i Longobardi: costoro, prima con gli scambi commerciali e poi con le loro invasioni, introdussero massicciamente nel nord Italia l’allevamento bovino.
Una volta caduto l’Impero Romano, una parte importante del controllo dei territori di quella che sarebbe diventata l’Italia divenne responsabilità dei monasteri, i quali nella produzione del formaggio trovarono un modo per fare cassa e – insieme – per conservare cibo in grandi quantità senza rischiare che andasse a male.
Da alimento per poveri a merce di scambio
Il formaggio divenne, da alimento umile, una preziosa merce di scambio con altri alimenti – o merci – che non potevano essere prodotti all’interno delle abbazie, e il suo commercio contribuì a farlo arrivare in luoghi anche molto lontani dalle zone di produzione: per esempio, sappiamo che l’imperatore Carlo Magno era ghiotto di gorgonzola!
Sorprenderà sapere che la produzione di massa, e con essa quella industriale, è un fenomeno relativamente recente: certi tipi di formaggi che consideriamo popolari, come marzolino, pecorino o parmigiano, hanno iniziato a essere diffusi su scala nazionale solo col XX secolo, dopo la fine della Seconda guerra mondiale.